Rimanere sempre aggiornati
Mobilità innovativa, nuovi e avvincenti trend e un altissimo numero di giri: abbonati adesso alle notifiche per i nuovi contenuti.
L'abbonamento successo.
L'abbonamento fallito. Se hai bisogno di aiuto segui il link per il supporto.
Che te ne pare?
Puoi ascoltare questo articolo su Changing Lanes, il podcast ufficiale di BMW.
Oltre a questo e ad articoli, su Changing Lanes trovi episodi nuovi tutte le settimane, ricchi di approfondimenti esclusivi su tecnologia, design, stili di vita, automobili e tanto altro – a presentarli i nostri host Nicki e Jonathan.
Cerca Changing Lanes sulle principali piattaforme di podcast e abbonati.
Donne e motori: nella storia dell’automotive sono state molte le donne che, vere e proprie pioniere, hanno avuto un ruolo rilevante nel processo che ha portato al piacere di guidare che conosciamo oggi. Conquiste tecniche come il tergicristallo, il riscaldamento dell’abitacolo o le fibre di kevlar, i primi viaggi a bordo delle prime automobili del ’900, il primo giro del mondo in auto del 1929 o la partecipazione a sport automobilistici come transgender, diventando così un modello di riferimento: tutte queste performance sono legate a doppio filo alla biografia di donne straordinarie provenienti da tutto il mondo. Ecco undici sorprendenti figure che hanno segnato in modo rilevante la storia del settore automotive e degli sport automobilistici.
Donne e motori: passate alle undici donne modello con un clic
Il rapporto che lega donne e motori nella storia dell’industria automobilistica ha radici antiche. Ma se oggi è evidente, quando il settore muoveva i primi passi, questo rapporto era un fenomeno eccezionale. I primissimi veicoli a motore erano di appannaggio esclusivamente maschile. Quando all’inizio del 1899 la fabbrica Eisenach organizzò una prima grande uscita di tutti i veicoli a motore prodotti fino ad allora, alla guida di uno dei quattro veicoli Wartburg c’era proprio Wilhelmine Ehrhardt, la moglie del direttore della fabbrica Eisenach, che si godette lo stupore sulla faccia dei passanti. A riportarlo è Matthias Doht, amministratore della fondazione Automobile Welt Eisenach ed esperto della prima automobilista tedesca. Wilhelmine (23 agosto 1886 – 23 febbraio 1945) era molto sicura di sé e il suo entusiasmo automobilistico difficile da mettere a freno. Quando Gustav Ehrhardt si iscrisse con il nuovo modello di Wartburg alla corsa del 23 luglio 1899, la prima corsa internazionale che andava da Innsbruck a Monaco, la moglie lo accompagnò. Il percorso partiva da Innsbruck, passava per la valle alpina dell’Inntal, l’austriaca Kufstein e la bavarese Rosenheim e raggiungeva infine Monaco di Baviera. Era molto impegnativo, ma per Wilhelmine fu una sfida ben accetta.
Per coronare il sogno di gareggiare in qualità di donna pilota in una competizione automobilistica, Wilhelmine Ehrhardt dovette aspettare ancora quasi un anno. Ma la pazienza fu ben ripagata. Il 3 agosto 1901 scrisse la storia degli sport automobilistici partecipando alla gara su grande distanza sulle montagne da Eisenach a Meiningen e ritorno. Nonostante il motore a sua disposizione, Wilhelmine Ehrhardt mancò il podio per pochissimo.
Il 22 novembre 1968 all’ufficio brevetti tedesco fu depositata la richiesta DE 1810 426 con la descrizione “Materiale e fili o fibre da esso realizzati”. In concreto, l’oggetto della descrizione era una super fibra utilizzata ancora oggi per esempio nella costruzione di auto, nel settore aerospaziale e nei giubbotti antiproiettile. Madre dell’invenzione era la chimica Stephanie Kwolek (31 luglio 1923 – 18 giugno 2014). Per finanziarsi gli studi in chimica, Kwolek accettò un posto come ricercatrice in un laboratorio di fibre tessili della DuPont, a Buffalo, New York. All’inizio degli anni ’60 si trovava nella stazione sperimentale dell’azienda a lavorare a una fibra che rinforzasse gli pneumatici radiali. Il suo compito consisteva nella manipolazione di filamenti di molecole a base di carbonio per formare molecole più grandi (i polimeri). Un giorno del 1964, Kwolek aveva qualche difficoltà a trasformare un polimero solido in forma liquida. Invece di essere trasparente e densa, come lei si aspettava, la miscela era liquida e opaca. Kwolek convinse un altro scienziato a manipolare il liquido nell’ugello del laboratorio, uno strumento che rimuove il solvente dalle soluzioni per ottenere le fibre. In questo modo scoprì, per un “caso fortunato” come lo definì lei stessa più tardi, un materiale che si dimostrò cinque volte più forte del metallo pur avendone lo stesso peso e la stessa resistenza al fuoco.
Le fibre di kevlar combinano refrattarietà alle fiamme e alla temperatura, resistenza, rigidità e altre caratteristiche che possono contribuire a migliorare i filtri, le cinghie, le guarnizioni e molte altre parti costruttive realizzate per l’industria automobilistica, quali gli pneumatici. Se utilizzate nello strato esterno o nella falsa cintura, le fibre di kevlar garantiscono un’alta indeformabilità, decisamente fuori dall’ordinario, per pneumatici ad alte prestazioni, anche ad alte temperature e a elevate velocità. Altri vantaggi del kevlar sono la riduzione del rumore in transito e un peso centrifugo ridotto, con una conseguente riduzione delle sollecitazioni sul motore. L’invenzione di Stephanie Kwolek, insieme a quelle di altre donne come lei, ha così gettato le basi per lo sviluppo dell’ingegneria automobilistica.
Un’altra delle più importanti donne nella storia automobilistica è Clärenore Stinnes (21 gennaio 1901 – 7 settembre 1990). Stinnes era una ragazza di buona famiglia, che da sempre difendeva il pensiero che le donne possono ottenere risultati buoni tanto quanto gli uomini. “Non siamo migliori, ma siamo altrettanto brave” disse una volta in un’intervista. E proprio con piglio girl power la spericolata temeraria fece in modo di farsi conoscere in tutto il mondo. All’età di 26 anni, Clärenore Stinnes partì alla volta della sua grande avventura: fu la prima persona a fare il giro del mondo in auto. Il tour de force su una Adler Standard 6 con 35 CV durò 25 mesi, passando per ghiaccio e afa, fango e detriti, spesso senza strade né carte, né stazioni di rifornimento né officine. Se riuscì a portare a termine quella spedizione potenzialmente fatale fu solo grazie alla testardaggine di una donna per cui tornare indietro era fuori discussione.
Quando il 24 giugno 1929 Stinnes entrò a Berlino insieme al suo compagno di viaggio, il cameraman Carl-Axel Söderström, il contachilometri ne segnava 46.758. E loro erano diventati le prime persone che avevano affrontato l’impresa – e il rischio – di fare il giro del mondo in auto, attraversando 23 Paesi. Da Francoforte erano andati verso Est: passando per i Balcani, avevano percorso il Caucaso verso la Siberia, avevano proseguito per il deserto del Gobi verso la Cina e il Giappone, poi lungo le Ande e gli Stati Uniti. E infine erano tornati in Europa in nave.
La figura successiva nell’elenco delle donne nella storia automobilistica deve la sua invenzione a un grande spirito d’osservazione. Mentre percorreva le strade di New York, Mary Anderson notò che il maltempo metteva in difficoltà i conducenti. Con la pioggia e la neve, questi dovevano costantemente scendere dall’auto per pulire il parabrezza. La ragazza aveva chiara in mente la soluzione: serviva una spazzola automatica. Contemporaneamente a Robert Douglass e John Apjohn, Mary Anderson depositò il brevetto per l’invenzione. Il suo fu l’unico a essere riconosciuto, in quanto unico dispositivo funzionante. Il 10 novembre 1903 l’ufficio brevetti accordò a Mary Anderson il brevetto US n. 743.801, per un “dispositivo di detersione dei vetri di auto e altri veicoli, per la rimozione di neve, ghiaccio o grandine”. Il dispositivo consisteva in una leva montata all’altezza del volante, che il conducente azionava manualmente. Quando questo accadeva, si metteva in movimento un braccio oscillante molleggiato grazie a un elastico, che poi tornava nella posizione iniziale.
Ottenuto il brevetto, Anderson provò a venderlo a un produttore canadese, che però rifiutò, in quanto il dispositivo non avrebbe avuto utilità pratica. Anche se nel 1913 i tergicristalli meccanici erano ormai diventati parte dell’allestimento di serie delle auto, Mary Anderson non guadagnò mai un soldo dalla sua idea. Eppure la sua fu una delle invenzioni a opera di donne che gettarono le basi per quel progresso dell’ingegneria automobilistica che prosegue ancora oggi, nonché un dispositivo che gli automobilisti utilizzano ancora per guidare con maggiore sicurezza in ogni condizione meteorologica.
Tra le donne nella storia dell’automobile, anche Bertha Benz ha un posto da pioniera. Non fu Carl Benz, ma la moglie Bertha, a rendere popolare l’auto: infatti, nell’agosto del 1888, non fu lui a completare con successo il primo viaggio interurbano in auto, bensì Bertha. A bordo aveva i figli e una dose bella abbondante di coraggio e sicurezza. Questo l’antefatto: nel 1886 Carl Benz, di Karlsruhe, a Mannheim aveva inventato l’automobile, depositata con il numero di brevetto 37435. L’evento non suscitò tuttavia la scia di entusiasmo che ci si aspettava, e la carrozza senza cavalli si guadagnò piuttosto diffidenza. Era un bel guaio. Allora Bertha Benz prese in mano la situazione e senza farsi troppe domande si mise alla guida del trabiccolo, in viaggio da Mannheim verso Pforzheim.
Un’impresa coraggiosa: quel viaggio di 106 chilometri era per l’epoca una vera e propria avventura. Le strade costruite erano solo una manciata, e perlopiù Bertha Benz dovette condurre l’auto su irregolari sentieri di campagna. Poiché non c’erano segnali stradali, per orientarsi si avvalse dei binari della ferrovia e per riparare qualche guasto dovette ricorrere a spilloni e giarrettiere, in mancanza di attrezzatura più adatta. Alla fine il colpo di mano riuscì: il veicolo a motore brevettato venne sviluppato ulteriormente e Bertha Benz fece un’ottima pubblicità all’invenzione del marito. La marcia trionfale dell’automobile poteva cominciare.
Se già le prime auto si trasformarono in zone di comfort lo si deve alla creatività di un’americana: Margaret A. Wilcox, nata nel 1838 a Chicago, è l’inventrice del riscaldamento per auto. Wilcox fu una delle prime ingegnere dell’industria automobilistica e depositò molti brevetti per le sue invenzioni.
Nell’autunno del 1893 richiese il brevetto per un sistema di riscaldamento per automobile, che fu approvato il 28 novembre 1893. Il sistema consisteva in una camera di combustione posta sotto l’auto e in un sistema di tubi che portava l’acqua riscaldata sotto l’abitacolo. Questa invenzione, molto importante per l’industria automobilistica, aveva un doppio vantaggio: rendeva più facile viaggiare col cielo nuvoloso e le basse temperature, tenendo l’interno dell’auto alla temperatura desiderata, e intanto evitava che i vetri si appannassero, rendendo così l’esperienza di viaggio più comoda e sicura.
Della velocità e del successo che le donne possono dimostrare in pista è un ottimo esempio Danica Patrick. La pilota americana di auto da corsa fu una delle donne di maggior successo delle categorie NASCAR e IndyCar. Tra il 2005 e il 2018 gareggiò attivamente in entrambe le categorie. La prima gara IndyCar di Danica Patrick ebbe luogo all’autodromo Homestead-Miami Speedway e nel 2008 celebrò la sua prima e unica vittoria in IndyCar a Motegi, in Giappone, dove diede prova di una prestazione eccezionale. Nel 2009 ottenne la nona posizione nel risultato complessivo, stagione in cui la pilota ottenne anche il terzo posto in Indy 500 e l’ottava posizione nella 24h di Daytona. In totale Danica Patrick sostenne 116 gare in otto anni nella categoria americana, aggiudicandosi sette podi e tre pole position.
Fino al 2011 Patrick continuò a gareggiare nella categoria IndyCar, ma si rivolse in parallelo al programma NASCAR. Dopo due anni a tempo parziale nella categoria Xfinity, nel 2012 Patrick partecipò alla sua prima stagione a tempo pieno nella seconda Stock car league americana, per ritrovarsi poi sulla linea di partenza della NASCAR dal 2013 in poi. In sette anni Patrick corse 191 gare. Anche se non furono sufficienti per un posto sul podio, Danica Patrick rimediò sette piazzamenti nella top 10 e fu inoltre la prima donna a ottenere la pole position in Daytona 500 nel 2013. A renderla un ottimo modello di empowerment femminile contribuisce anche il fatto che nel 2018 dimostrò il coraggio di ritirarsi di propria iniziativa nel momento giusto.
A metà degli anni ’50, General Motors aprì il capitolo delle note “damsels of design”, un gruppo di dieci donne chiamate a bordo della casa automobilistica per raggiungere meglio il nuovo pubblico di consumatrici. Purtroppo la prima squadra di designer tutta al femminile degli Stati Uniti ebbe vita breve. La maggior parte di loro se ne andò all’inizio degli anni ’60, quando nel reparto subentrò Bill Mitchell, che avrebbe dichiarato: “Accanto a uno dei miei designer senior non ci sarà nessuna donna”. A dispetto di questa dichiarazione e nonostante il settore dell’industria automobilistica fosse all’epoca declinato al maschile, Suzanne Vanderbilt, una delle “damsels” originarie, restò e percorse ostinatamente tutti i gradini della carriera, finché nel 1972 non ottenne il ruolo di designer capo di Chevrolet‘s Interior Studio. Suzanne Vanderbilt fu la dirigente del progetto di utilitarie come la Nova, la Camaro e la Chevette. Purtroppo, quando era all’apice della carriera, una malattia la costrinse prima a ridurre il lavoro e infine ad andare in prepensionamento da GM nel 1977. Morì undici anni dopo, all’età di cinquantacinque anni. Cosa l’aveva motivata a rimanere in un ambiente tanto esigente? “A spingere avanti il designer è la perenne insoddisfazione. Il designer cerca costantemente la perfezione, e risposte nuove e creative.”
Manovre di sorpasso negli sport automobilistici: nella 24 Ore sul leggendario Nürburgring, Charlie Martin ha scritto la storia. Con la sua BMW M240i Racing, nel Nordschleife si è piazzata nella quarta posizione della sua categoria. Ma il piazzamento è una questione secondaria per la pilota trentanovenne, perché Charlie Martin guida avendo in mente un obiettivo più grande: dare prova di sé in quanto donna in un mondo prevalentemente maschile. Un desiderio molto particolare, in effetti, perché nel 1981, nella città inglese di Leicester, Charlie Martin è nata maschio.
In quanto prima pilota transgender ad arrivare al traguardo di questo grande classico degli sport automobilistici, la coraggiosa Charlie Martin non solo ha realizzato un sogno, ma è anche diventata un modello da seguire. Prendere una decisione difficile e rimanere fedeli al percorso che si è scelto per sé sono azioni che richiedono coraggio. E lei, questo coraggio lo vorrebbe trasmettere ad altri, per riuscire a offrire maggiore visibilità alla varietà e al cambiamento nel mondo degli sport a motore e per spianare così la strada ad altre donne pilota nel mondo delle corse: “Se nello sport abbiamo come ambasciatori delle persone che si impegnano al massimo per i valori in cui credono e che riescono a trasmettere il messaggio che tutti, nella vita, dobbiamo cercare di essere attivi e propositivi, allora è possibile apportare un grande cambiamento nella società.” (➜ Leggete anche l’intero reportage sull’esperienza di Charlie Martin al Nürburgring e ascoltate la pilota nel podcast Changing Lanes di BMW)
L’importante rapporto tra donne e motori ha raggiunto anche la classe regina degli sport automobilistici. Nella statistica della Formula 1, Lella Lombardi (26 marzo 1941 – 03 marzo 1992) è stata l’unica donna ad arrivare nella zona punti del campionato mondiale. Figlia di un macellaio piemontese, arrivò agli sport automobilistici solo per vie traverse. Quando, mentre giocava a pallamano, si infortunò gravemente e fu portata via in ambulanza, la velocità l’affascinò tanto che le venne in mente di sostituire gli sport di squadra con le corse automobilistiche. Dal 1974 al 1976 Lella Lombardi partecipò a dodici Gran Premi e ottenne sette piazzamenti. Debuttò in Formula 1 nel 1974 sul circuito di Brands Hatch per la scuderia Allied Polymer Group, senza però riuscire a qualificarsi per la gara. Solo nel 1975 riuscì a presentarsi al via di una gara di Formula 1: al Gran Premio del Sudafrica per la scuderia March.
Il 27 aprile 1975 l’allora trentaquattrenne ottenne il sesto posto al Gran Premio di Barcellona, in Spagna, e divenne così quella che ancora oggi è l’unica donna ad aver ottenuto mezzo punto nel campionato mondiale. Mezzo punto, perché la gara sullo stretto circuito cittadino di Montjuic fu interrotta anzitempo per un grave incidente del tedesco Rolf Stommelen, che al momento si trovava in testa. Oltre a quel mezzo punto, Lella Lombardi detiene anche il record per il numero di gara più alto della storia della Formula 1. Il “208” sull’auto con cui percorse il circuito di Brands Hatch nel 1974 era un richiamo allo sponsor, Radio Luxemburg, che allora trasmetteva sulla frequenza a 208 MHz. Questo record dell’italiana riservata e ambiziosa, morta di cancro al seno pochi giorni prima del cinquantunesimo compleanno, rimarrà imbattuto, perché ora la Formula 1 non permette numeri di gara superiori al “99”.
Gli stereotipi su donne e motori non sono altro che castelli di sabbia. E Jutta Kleinschmidt la sabbia la conosce bene, perché si è addirittura messa al volante di un veicolo da rally, lo ha portato in mezzo al deserto ed è entrata così nei libri di storia. Il suo primo Rally Parigi-Dakar risale al 1988, in moto, mentre nel 2001 Jutta Kleinschmidt è stata la prima donna nonché prima tedesca a vincere il rally desertico più duro del mondo. 10.000 chilometri, 159 secondi di vantaggio: la veloce bavarese ha sbaragliato la concorrenza a bordo di una Mitsubishi Pajero. Dopo questa performance, Jutta Kleinschmidt ha partecipato più volte all’impegnativo campionato mondiale che attraversa il deserto, finché nel 2007 la pilota non si è presentata alla linea di partenza della Dakar con una BMW X3 CC per il team X-Raid BMW.
Con coraggio e giudizio tecnico ha registrato la sua presenza alla gara ogni anno per quasi 20 anni. In qualità di istruttrice e ospite di corse su strada, la pilota di elicotteri è rimasta fedele ancora oggi agli sport automobilistici. Jutta Kleinschmidt tiene inoltre conferenze e seminari per aziende nel ruolo di trainer motivazionale. Un modello di empowerment femminile che sa affrontare ogni tipo di terreno.
Autore: Markus Löblein; Illustrazioni: Oriana Fenwick